Il velo da sposa: un intramontabile protagonista che riporta al passato
E’ tradizione di alcune famiglie tramandare di generazione in generazione il velo da sposa al quale anche le spose più moderne non vogliono rinunciare, magari con un semplice accenno nel vestito o con un drappeggio che in qualche modo ne ricordi le forme.

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L’immagine tipica della sposa è rappresentata da un elemento caratteristico del suo vestito: il velo da sposa.
Il velo da sposa: un po’ di storia, lo sapevate che in passato era di colore rosso?
Nelle famiglie nobili, addirittura, insieme allo strascico, il velo da sposa è motivo di sfoggio di eleganza e preziosità: si narra, per esempio, che la Regina Vittoria, in occasione del suo matrimonio con il Principe Alberto, portò un velo in pizzo realizzato da ben duecento ricamatrici in otto mesi di alacre lavoro. Una volta terminato, lo schema del telaio fu distrutto, così da renderlo unico nella storia. O ancora, in tempi più recenti, Bianca di Aosta in occasione del matrimonio con un giovane rampollo della dinastia dei Gonzaga, ha indossato uno strascico di ben quattordici metri, sorretto da uno stuolo di damigelle. Di poco inferiore il velo indossato e tramandato da Federica di Grecia a sua figlia Sofia e quindi alla nipote Elena di Spagna: “solo” dieci metri, impreziositi però da un diadema principesco, è il caso di dirlo, di perle e brillanti; quest’ultima, tuttavia, incappò in un piccolo inconveniente al momento di entrare in chiesa. Non avendo voluto, a dispetto della tradizione, damigelle che reggessero il prezioso cimelio, rimase incastrata nel portone della navata centrale della chiesa, bloccando il corteo di paggetti che la seguiva, col risultato che in breve il velo fu calpestato dai bambinetti zampettanti tra l’ilarità e l’imbarazzo degli invitati. Di soli cinque metri, invece, è quello delle giovani sposine appartenenti alla famiglia dei Ruffo di Calabria che, però, salgono all’altare vestendo con orgoglio il medesimo strascico in pizzo e ricami da più di trecento anni: un vero tesoro di famiglia.
Secondo la tradizione, il colore del velo da sposa è candido o al massimo avorio, in base al tipo di tessuto che lo compone, per rispettare l’usanza che lo vuole simbolo di purezza e castità. Eppure, nell’antica Roma il viso della giovane sposa era nascosto nella cerimonia nuziale dal “flammeum”, un drappo rosso fiamma, perché quello era considerato il colore della modestia (non stupiamoci, ma nell’antichità si associavano sentimenti e virtù a colori ben diversi rispetto alla nostra abitudine). Fu solo in epoca cristiana che il rosso fu riferito ai culti pagani, in cui si effettuavano spesso cruenti sacrifici di animali, e alla passione (il sangue di cristo); il bianco cominciò a caratterizzare il velo nuziale, anche in nome dell’usanza che voleva i due sposi accompagnati da quattro persone che li cingevano con il “velamen”, un leggero drappo bianco, simbolo di unità nel loro cammino comune e di rispetto della legge.
Eppure, la Belle Epoque rischiò di rompere questa tradizione, con la comparsa, erano gli anni venti, di azzardati quanto anticonformisti strascichi in pizzo nero con tanto di cappello e guanti in tinta; fortunatamente questa moda ebbe una breve quanto effimera durata. Se non nero, comunque, il pizzo rappresenta un lusso che poche spose si possono permettere, a parte la regina Vittoria, di cui abbiamo parlato poco sopra, che sicuramente non aveva problemi di costi di manodopera quando indossò il preziosissimo strascico eseguito secondo la tecnica di Honiton, cittadina inglese del Devon, che associa motivi floreali a piccole macchie e puntini su una struttura a rete. Sempre originari del Nord Europa ed altrettanto preziosi sono i veli da sposa in Pizzo di Bruxelles, un merletto ad ago impreziosito da caratteristici disegni di foglie e fiori, che viene prodotto con tradizione secolare in molte città del Belgio. E fu proprio Fabiola, moglie di Baldovino, re del Belgio, a indossare all’altare un fantastico strascico in pizzo di Bruges; purtroppo la sventurata, che tutto era tranne che una bella nordica slanciata, durante la cerimonia e all’uscita della chiesa si incastrò nel prezioso peplo, scatenando pungenti critiche visto il suo districarsi impacciato in quella vera e propria trappola. Anche i pizzi nostrani, quelli celebri di Burano detti Pizzi Veneziani, con tipici disegni circolari e floreali, hanno vestito celebrità di casa nostra: pare che Anita Garibaldi vestisse spesso il velo in pizzo color panna, di modeste dimensioni, con il quale aveva sposato il celebre condottiero Giuseppe.
Il velo da sposa ai giorni nostri: aneddoti ed episodi indimenticabili.
Lasciando le pagine della storia e venendo a quelle della cronaca dei giorni nostri, si leggono aneddoti curiosi e piuttosto salaci. Una giovane principessa della Polinesia ha fatto confezionare uno strascico di due metri composto da piccoli bottoni in madreperla ricavati dalle conchiglie che il suo sposo le aveva romanticamente regalato. Una tradizione polinesiana vuole infatti che il sogno d’amore di un giovane si avveri solo se nel volgere di dodici lune, circa un anno, questi ogni giorno faccia dono alla sua amata di qualcosa di prezioso: un vero esempio di fedeltà e amore non contaminato dai soliti, tanto grossolani sprechi di danaro.
Infine, non si può evitare di citare quanto combinato da Lea Perkins, fotomodella degli anni ‘70 diventata famosa per alcuni suoi nudi pubblicati dalla rivista Playboy; ebbene, la signorina, in procinto di diventare signora, pensò bene di indossare un sobrio velo da sposa in tulle beige neanche troppo lungo, con uno strascico giusto di qualche centimetro. Nulla di male, direte voi. Peccato che quello fosse l’unico capo indossato dalla sposina al momento di entrare in chiesa insieme ad un succinto paio di mutandine blu (la tradizione è sempre la tradizione): risultato della vicenda, il pastore incaricato di celebrare le nozze giustamente si rifiutò di officiare la messa ed il matrimonio fu annullato, ma la pubblicità data all’evento da tutti i giornali garantì alla sposa mancata un contratto milionario per l’edizione di un libro, pensate un po’, sul galateo matrimoniale. Ricco di consigli ed esempi, come il suo, che forse non è il caso di seguire troppo alla lettera.